“My unfolded universe”. L’universo a pieghe di Jule Waibel, artista e designer che sperimenta l’antica tecnica del plissé [Prima parte] Incuriosita dalla tecnica del plissé, durante le mie ricerche mi sono imbattuta nel profilo di una designer per la quale quest’arte è alla base di continue sperimentazioni. Sto parlando di Jule Waibel: un’artista a 360 gradi che ha all’attivo collaborazioni con brand della portata di Adidas, Bershka, Swarovski. Grazie Jule per avermi concesso quest’intervista. Jule posa su un suo “Unfolded seat” (Courtesy Jule Waibel) (VEDI) CT I risultati dei tuoi progetti dipendono dal tipo di piega che scegli? J Sì, certamente. Il punto è: l’arte del plissé esiste da anni, non l’ho inventata io, quello che ho fatto è di aver “brevettato” un mio personale linguaggio. Mi basta cambiare le dimensioni del pattern e l’intera struttura cambia, cambiano il suo movimento e il suo relazionarsi con lo spazio. Il mio studio consiste nel cercare di apportare modifiche a pattern già esistenti, per poi ottenere qualcosa di completamente e quasi inaspettatamente nuovo. Lavoro principalmente con due tipi di pieghe. Il primo, che chiamo bidimensionale, è una sorta di zig-zag con il quale si possono realizzare oggetti piuttosto rigidi e solidi, quindi più resistenti. L’altro tipo è una piega tridimensionale, molto più flessibile che consente di ottenere volumi che si gonfiano e poi si sgonfiano, super flessibili. Non ha a che fare con il realizzare piccole figure, come uccelli o stelline, con la tecnica degli origami, questo lavoro ha un senso più pratico e funzionale. Con questi due tipi di pieghe posso costruire veri e propri oggetti. Ad esempio, sapendo che il fondo del vaso deve essere rigido, uso le pieghe bidimensionali, e poi, se salendo verso la sommità voglio raggiungere maggiore flessibilità, oppure voglio che il vaso assuma una forma più arrotondata, allora uso le pieghe che mi offrono una maggiore flessibilità. È come una sorta di architettura, ma in scala ridotta. Unfolded Landscape. Installazione durante il London Design Festival 2017 (Courtesy Jule Waibel) (VEDI) CT Quanto c’è di studio e quanto c’è di istintivo nelle te creazioni? J Diciamo che il mio lavoro è metà e metà. Penso che ci sia tanto istinto, ma credo che lo studio è alla base di tutto perché ciò che ho appreso è diventato parte del mio istinto. Penso di avere solide basi che sono state di grande aiuto al mio processo creativo. Ho studiato nella mia città natale nel sud della Germania, in una scuola impostata sul modello della Bauhaus, cioè sul principio che la forma segue la funzione. Durante i primi anni dovevamo lavorare soltanto su modelli basici. Non ci era permesso di usare colori e realizzare oggetti stravaganti. Questo ci ha aiutato ad apprendere moltissimo sulla geometria e sulle regole del design, del buon design. Alla fine posso dire che la mia formazione è stata veramente arricchente per il tipo di lavoro che sto portando avanti adesso. Dopo la laurea breve mi sono iscritta al Royal College of Art e lì ho iniziato a esplorare, a cercare il mio personale stile e ho cercato di tirar fuori il mio timbro. Ma senza quella formazione di base, non sarebbe stato così facile lavorare con l’attuale consapevolezza e trovare la strada che il mio cuore mi suggeriva di intraprendere. Comunque l’istinto è una gran cosa. Non sono mai stata brava in matematica, ma ho sempre avuto una passione per lo spazio e la terza dimensione, la creazione di 3D. È qualcosa che mi viene da dentro e questa è la parte in cui prevale l’istinto. Non pianifico mai troppo prima. Inizio, provo, faccio faccio e ancora faccio, dopodiché osservo quello che viene fuori, e accade che la maggior parte delle volte sia ok! Un lavoro di Jule realizzato in feltro per Swarovski al Kristallwelten in Wattens Austria (Courtsey Jule Waibel) (VEDI) CT Quanto è importante per il design attingere dal passato e dal sapere artigiano? J È la tendenza del momento di guardare all’artigianato e credo che abbia un senso. Viviamo nell’epoca dei programmi 3D che ti permettono di creare oggetti senza necessità di prototipi, perché sono sufficienti un computer, uno schermo e una stampante 3D. Sta tutto lì. Non hai bisogno neanche di spostarti. Ed è geniale! Ma io credo che la vera innovazione sia combinare le due cose. Portare l’artigianato verso qualcosa di nuovo, che sia la tecnologia o nuovi materiali, o semplicemente un nuovo modo di pensare… eh, questo è il futuro! Penso inoltre che esista un reale bisogno di conoscere chi ha realizzato l’oggetto, da dove arriva, la sua parte umana, ed è importante conoscerla per apprezzarlo ancora di più. È una cosa fondamentale per il design. Guarda il mio lavoro: alla fine io non faccio altro che avvalermi di una vecchia tecnica artigianale che è la piega, il plissé che purtroppo sta morendo. Quasi più nessuno indossa gonne a pieghe, e quelle che si vedono sono realizzate con le macchine, non sono quelle sofisticate che venivano realizzate a mano. Quindi io uso una tecnica vecchia ma combinandola con materiali nuovi. Ho studiato le mie forme, varie, e i miei pattern. Ho usato la pelle, il feltro, i metalli, servendomi sempre della stessa tecnica che si serve del vapore bollente. Il mio è un mix tra conoscenza artigiana e sperimentazione di nuovi materiali, ecco perché ho creato qualcosa di più o meno innovativo. Unfolded chair Vito (Courtesy Jule Waibel) (VEDI) Mi raccomando, rimanete sintonizzati perché la prossima settimana pubblicheremo la seconda parte dell’intervista!