I centrotavola Samos.
Un esperimento di Enzo Mari sul processo che lega idea e forma

Un paio di settimane fa ho visitato in Triennale la mostra dedicata a Enzo Mari, una delle menti più raffinate del design italiano. Colto e poliedrico, Mari ha sperimentato e si è confrontato con diversi volti dell’arte visiva. Un teorico dei metodi progettuali, con lo sguardo sempre rivolto al sistema sociale e politico, e con una spiccata attenzione verso l’uomo e la relazione tra idea e forma.

Sarà per il mio debole per la ceramica e per la produzione artigianale, ma durante la visita alla mostra sono stata folgorata dai meravigliosi centrotavola in porcellana color bianco latte. Leggo la loro storia e trovo in essi la sintesi di un tema a me molto caro, cioè il  processo ideativo-esecutivo come processo partecipativo.

Gli oggetti fanno parte della serie Samos, commissionata a Mari da Danese nel 1973. Un progetto bellissimo sia per l’aspetto estetico dei singoli pezzi, che per la poetica che c’è dietro: una Proposta per la lavorazione a mano della porcellana. Con essa Mari punta a far riappropriare l’artigiano della gestualità che lo porta al raggiungimento di una determinata forma. Un legame che, non solo il processo industriale ha spezzato a causa della meccanizzazione, ma che nella stessa bottega è venuto meno, essendo diventato anche il lavoro artigianale una sorta di catena di montaggio.

Quando Danese gli commissiona questi oggetti, Mari prova a far scaturire l’ideazione, cioè la progettazione del prodotto artigianale, da chi lo realizza. Si rivolge alla bottega veneta Tarcisio Tosin, e affida il lavoro ad alcuni artigiani al suo interno. Propone loro una serie di moduli, quali cordoncini, quadrati, cerchi e strisce che dovranno essere combinati in modo sempre diverso per ottenere l’oggetto finito, soprattutto si raccomanda di non preoccuparsi delle irregolarità. 

Alla fine della produzione “i vasi sono splendidi, anche se fragili. La porcellana è talmente sottile da risultare trasparente. […] Però la conclusione di questa esperienza è ancora una volta deprimente: mesi dopo torno in bottega e scopro che i primi modelli sono disposti su una mensola di fronte al piano di lavoro. Gli operai misurano con un calibro i tagli irregolari e li riproducono al millimetro.”

La proposta di Mari non venne evidentemente colta, ma a noi rimangono questi oggetti poetici pieni di valore antropologico oltre che artistico.

Testi di Valentina Romano